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La mappa non è il territorio

Questa frase apparentemente banale è uno dei principi cardini della Programmazione Neuro Linguistica ed ha ispirato diversi ricercatori e scienziati oltre che scuole di pensiero. Affrontiamo insieme questo viaggio ideale in cui ripercorrere le tappe, ossia i punti fondamentali, che ispirano questa disciplina.

Affermare che la mappa non è il territorio sottintende al fatto che, quella che ciascuno di noi identifica come realtà, ed a cui assegna un valore di oggettività e di universalità, altro non è che una rappresentazione del reale, del territorio. La formulazione si deve ad Alfred Korzybski ed è riportata nel suo libro “Science & Sanity” in cui vengono teorizzati i principi della “General Semantics”

Come una mappa, la nostra rappresentazione della realtà può risultare estremamente funzionale al nostro essere e conseguente comportamento, quanto più essa è rispondente al territorio, ossia al reale. Se invece la mappa è imprecisa o addirittura errata, come potrebbe esserlo se essa non fosse in scala, o se riportasse un errore di stampa o di rilevazione, ecco che questa rischia di portarci fuori strada. Ci potremmo trovare a percorrere il sentiero sbagliato certi di procedere verso la giusta direzione, senza accorgerci dell’errore.

Se questo concetto è sufficientemente plausibile ed accettabile, risulta estremamente complesso acquisire la consapevolezza che ciascuno di noi si muove sul territorio, ossia nella realtà, affidandosi ad una mappa auto costruita. Comprendere ed accettare che la propria realtà, e quella di tutti gli altri che ci circondano, è solo una rappresentazione, ed in quanto tale approssimata ed imprecisa, è un passo significativo verso la libertà personale e la comprensione degli altri.
Ma come può essere che quello che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo sia differente dalla realtà e che l’immagine che ci siamo fatti possa differire da essa?
A questo proposito può venirci in aiuto proprio il libro “Science & Sanity” di Alfred Korzybski e “The Structure of Magic” il libro di John Grinder e Richard Bandler, in cui si presentano le basi di ciò che prenderà il nome di Programmazione Neuro Linguistica.

Come nasce la nostra rappresentazione.

Cosa ci impedisce di vedere il mondo per quello che è? Nella struttura della magia vengono identificati tre vincoli, che naturalmente quanto inconsciamente ci condizionano nel nostro processo di acquisizione: neurologici, sociali ed individuali.

I primi sono dei vincoli neurologici, legati propriamente alla capacità di percezione sensoriale dell’essere umano. Ogni specie, è comunemente risaputo, ha capacità sensoriali differenti l’una dalle altre. I pipistrelli, ad esempio, posseggono un sistema di recettori che gli permette di “vedere” il mondo sfruttando gli ultrasuoni: abilità comune a diverse specie e di certo non all’uomo. Altre specie differiscono per possedere sistemi percettivi specializzati differentemente: per tutti, la stessa realtà viene “letta” ricorrendo alle proprie interfacce percettive differenti le une dalle altre e che evidenziano i vincoli fisici della percezione e quindi la sua soggettività.

Seguono i vincoli sociali, ossia quelle convenzioni familiari e territoriali che diventano delle vere e proprie chiavi interpretative. Nel libro “La struttura della magia” di Bandler e Grinder, traduzione italiana di “The Structure of Magic”, questo concetto viene esasperato riportando l’esempio della lingua maidu che fa uso di tre sole parole per identificare l’intero spettro dei colori, che come sappiamo in altre lingue trova una declinazione ben più profonda: ecco che difronte ad una stessa manifestazione naturale come può ad esempio essere un arcobaleno potremmo ricevere da soggetti di lingue native differenti descrizioni profondamente differenti.

Appare chiaro che questa, ma ci sono poi tante altre convenzioni sociali, ci portano a sintetizzare un’immagine della realtà distante dall’oggettività. I vincoli individuali, derivano dalla propria esperienza soggettiva: da ciò che abbiamo immagazzinato nella memoria e dal valore, l’emozione, che le abbiamo associato. Questo genera dei filtri interpretativi assolutamente personali e distintati dalla realtà oggettiva.

A tutto questo va aggiunto che uno dei meccanismi naturali dell’uomo, teso a garantire le sue performances è la cancellazione: un processo che tende a sintetizzare ogni aspetto della nostra vita per poterlo opportunamente immagazzinare. Ovviamente questo comporta il dover tralasciare porzioni di informazione che nell’immediato possono essere percepite come irrilevanti.

Conclusione

A prescindere dai sentimenti, dialogare e comprendersi è per uomo e donna qualcosa che richiede impegno, e di certo anche un grande investimento capace di portare gioia e gratificazione. Ecco quindi una bellissima frase del poeta statunitense Robert Lee Frost: “Invecchia con me, perché il meglio deve ancora venire”.

Provate il test e se avete piacere condividete con noi come è andata, come vi siete sentiti dopo e qualsiasi altra cosa desiderate.
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